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Friuli, una terra da scoprire. E da bere.

Cambiare lavoro quando hai abbondantemente superato i trenta rappresenta una seconda opportunità e una sfida al tempo stesso. Pensi che finalmente vedi riconosciute le tue capacità, quel diploma di laurea con cui tenevi fermo un tavolo traballante assume un nuovo valore, ti senti come John Travolta chiamato da Tarantino dopo essere ingrassato trenta kg e aver appeso la brillantina al chiodo.
Quello che nessuno considera, o che io non avevo considerato, è che lo stile di vita verrà completamente stravolto. E di conseguenza gli orari: la sveglia, la palestra, la spesa, la doccia. Tutto si combina in un nuovo e il più delle volte pericolante incastro. Ti porti in ufficio ventisei borse per poi correre in palestra, invece una riunione ti blocca fino a tardi. Pensi di fare la spesa subito dopo il lavoro, invece ti fermi a parlare con una collega.
In tutto ciò l’esigenza di scrivere passa in ultimo piano. Pensi che se Virginia Woolf si è suicidata e Leopardi non era l’anima della festa, tutto sommato il blog può essere accantonato.
Poi però riscopri il piacere sadico che solo un pendolare conosce. I tempi morti in attesa che appaia il numero del binario di partenza, le soste obbligate per far passare un altro treno, la vicinanza quasi imbarazzante con gli altri passeggeri. Tutti quei momenti sembrano essere lì apposta per costringerti a scrivere.
Tutta questa premessa per concludere il viaggio dello scorso settembre alla scoperta del nostro territorio, ma soprattutto dei miei organi interni. Ultima ma non meno importante tappa, il Friuli.

GIORNO UNO – Prima di incontrare l’altra metà dell’armata Brancaleone con cui concluderemo la nostra vacanza, decidiamo di passare due giorni a Tarvisio per riposare le stanche membra.
Lasciamo Venezia, i suoi ponti, i suoi spritz al costo di un tramezzino e ci dirigiamo nelle terre confinanti.
Ora, passare dal Veneto al Friuli è come stare nel mezzo di una gang bang: tu pensi di aver finito, invece il bello deve ancora arrivare.
Piccola parentesi per mamme, in particolare la mia: dicesi gang bang un’antica arte giapponese con cui gli imperatori si preparavano alla battaglia.
Tarvisio è uno di quei paesi che deve dare il meglio di sé in inverno, quando la neve copre i tetti spioventi e ti aspetti che i pali della luce siano fatti di frutta candita.
L’albergo dove passeremo due notti sembra sottolineare questa atmosfera fiabesca. L’Hotel Edelhof  è una struttura di legno e prato verde tutto intorno, dove i soffitti hanno le travi a vista e nelle camere gli armadi sono decorati con motivi tirolesi. O almeno credo tirolesi, non sono ferratissima sull’arte decorativa del nord. Al massimo conosco le dispense che trovi in edicola: “Dipingi tutta casa con il decoupage e fatti odiare da tutta la famiglia”.
Pervasi da uno spirito alpino, ci prepariamo a fare una passeggiata corroborante, quando il diavolo si presenta sotto forma di un cartello che riporta i prezzi del bar. Ora, io non so dove abitiate, ma a Roma centro un calice di vino sta sui cinque/sei euro, quindi pagarlo 1.50 ci fa abbandonare immediatamente ogni velleità da giovani marmotte e vestire i panni ben più comodi di Sid e Nancy.
Piccola parentesi per mamme, tranne la mia che comincio a pensare non sia scesa dalla montagna del sapone: Sid e Nancy erano una coppia tanto a modo, molto affiatata, con un leggerissimo problema di abuso di droghe. Però si volevano tanto bene.
Dopo questo primo benvenuto a base di rosso e prosciutto di Sauris, facciamo un giro per il paese.
Come dicevo prima, Tarvisio deve essere un paese che tocca il massimo del suo splendore in inverno. In estate sembra un luogo tranquillo, con le piste da sci ferme e verdi di un’erba brillante. In giro pochi turisti e tanti indigeni.
Mentre giriamo a vuoto, ci viene in aiuto San Tripadvisor, che ci porta in un locale gestito da una coppia di friulani duri e puri. Leggerete recensioni controverse sull’osteria Hladik, che è costoso, che la cameriera è scortese. Noi ci siamo stati due sere di seguito e siamo stati serviti sempre dal proprietario, uomo galante e disponibile. Certo, il suo obiettivo è consigliare ma anche vendere, quindi cercate di capire qual è il vino che produce lui e spenderete il giusto. D’altronde un posto dove si ferma a bere la polizia locale, per me è quello giusto. Si beve bene, si mangiano prodotti locali, il prosciutto con il kren e la zuppetta di ortiche e tarassaco valgono il prezzo del biglietto.
Finiamo la serata nel ristorante dell’hotel a onorare la cucina tradizionale. A quel punto ero ubriaca e non ricordo cosa ho mangiato, ma ho il ricordo di qualcosa di buono e saporito. Forse canederli, forse il nettare degli dei.

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GIORNO DUE – Dopo una rinvigorente colazione in un delizioso angolino del ristorante affacciato sul prato, ci dirigiamo alla conquista del monte Lussari. In noi si agitano sentimenti propositivi di purificazione dai bagordi precedenti ed espiazione di colpe future. La montagna si raggiunge tramite una funivia che porta a 1790 metri di altezza e di escursione termica. Alpini all’ascolto, io lo so che voi sapete, ma io allora no e mi sono presentata sulla cima dell’Olimpo che forse solo Paris Hilton quando la costringevano a mungere le mucche.
La cosa bella dell’altezza è che ti fa sentire allo stesso tempo il padrone del mondo e un piccolo essere al cospetto dell’universo. Ma ancora più importante è ricordare che in montagna vige un’altra temperatura, di almeno dieci gradi in meno rispetto a dove siete partiti. Quindi vestitevi a cipolla.
Oppure, dopo aver visitato il santuario e respirato così tanta aria pulita da credere di essere in paradiso, andate a scaldarvi da Jure, meglio conosciuto come Rifugio al Convento. Lì potrete trovare il giusto tepore assaggiando un capriolo al salmì con polenta o un gulasch rovente come il mio intestino. La discesa a valle vi sembrerà più leggera. In realtà sono i grassi saturi che hanno avvolto dolcemente quella parte di cervello che vi fa percepire la fatica.
La giornata prosegue verso uno dei laghi più fotografati negli ultimi tempi: Fusine.
Togliamoci subito il pensiero, i laghi in realtà sono due, ma che nessuno si offenda, quello che lascia senza parole è quello più in basso. Lì tutte le fantasie erotiche sull’essere in un set cinematografico si realizzano. L’acqua del lago ha delle sfumature che vanno dal verde al blu talmente intense da sembrare pietre preziose. Il riflesso degli alberi sul lago ha la perfezione di un disegno geometrico. Ci sono le barchette colorate ormeggiate su un pontile di legno e i bagni hanno le finestre di legno intarsiate. Se mai volessi credere al paradiso, io lo immagino così, ombreggiato e silenzioso.

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GIORNO TRE – È il giorno di riunirci ai nostri amici, ma prima di metterci in marcia per Cividale del Friuli, facciamo una capatina in Austria. Lo so, affronto le situazioni con lo stupore di un fanciullino, ma questa cosa che un attimo prima sei in Italia e un quarto d’ora dopo ti ritrovi in un altro paese, mi fa impazzire di gioia. Sarei capace di scendere dalla macchina e fare un balletto al confine, ma ho paura che mi sparino e quindi trattengo la felicità per Villach. Ho trascorso veramente troppo poco tempo lì per esprimere un giudizio sulla città e quel poco l’ho trascorso degustando una wiener schnitzel accompagnata da una birra ghiacciata. D’altronde il modo migliore per conoscere un posto, è farlo a tavola.

Nel frattempo abbiamo lasciato l’Austria e ci dirigiamo di nuovo verso il Friuli e più precisamente a Prepotto, dove saremo stati ospiti dell’azienda agricola Scribano.
Se Fusine è il paradiso, la valle dello Judrio è il paradiso accanto a Dio. Qui i filari di viti si snodano dolci sui colli morbidi e i cartelli delle case vinicole si susseguono promettenti. Il cielo all’improvviso si fa nero di pioggia e l’atmosfera assume i contorni di un dipinto fiammingo. In un attimo è il diluvio universale.
Tra le cose più belle che possono accadere mentre l’acqua scende a grappoli e i vestiti in pochi secondi diventano zuppi, è entrare dentro un posto che sa di famiglia.
Se vi trovate a passare per il Friuli e avete bisogno di una sosta che assomigli più alla vostra casa, fatevi coccolare da Caterina e Alberto.
Loro sono ragazzi giovani che hanno preso in mano le redini dell’azienda di famiglia. Qui tutto ha una storia da raccontare: dal tavolo della cucina al lavabo dietro il bancone dove ci viene offerto un bicchiere di vino.
Abbiamo già detto quel fatto del paradiso, vero? Qui è l’Eden elevato alla seconda. C’è Caterina che ha i capelli rossi e un sorriso schietto come la sua terra. C’è Alberto che ha una stretta di mano salda e rassicurante. Ci sono i cani che girano, un bambino che disegna per terra e un altro in arrivo. Dalla cucina arrivano odori invitanti e la vigna brilla della pioggia appena passata. Sembra di stare in un episodio della Casa nella Prateria, dove tutti si vogliono bene e si respira un’atmosfera di genuina felicità.
Nel frattempo sono arrivati gli altri del gruppo con cui continueremo la vacanza e insieme ci sediamo a tavola a mangiare polpette al sugo e salame. Manca la neve e poi siamo in un libro di Dickens.

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GIORNO QUATTRO – La colazione dagli Scribano è perfetta così come la immaginavo, con i piatti con i fiorellini e le marmellate fatte in casa. Vorrei poter restare qui ancora ma è già ora di ripartire, destinazione Maniago, dove avremo la possibilità di visitare il palazzo omonimo. Non prima però di aver lasciato le valigie nel delizioso appartamento a Cividale dove passeremo il resto della vacanza: Casa Julia.
Arrivati a Maniago, ad aprirci le porte della residenza è la contessa Alessandra d’Attimis Maniago, una donna energica e con il fascino d’antan che i nobili hanno per nascita.
Giriamo attraverso i giardini maestosi e le scuderie, per poi passare nelle stanze affrescate e arredate con mobili d’epoca. La particolarità del palazzo consiste nel poter offrire vitto e alloggio. Ospita infatti, all’interno del complesso, un ristorante, un albergo e offre la possibilità di celebrare matrimoni o organizzare eventi. Hanno pensato a tutto.
A noi tocca la fortuna di essere sfamati in una delle stanze cinquecentesche, dove rimane a farci compagnia anche la contessa.
Come posso spiegare il livello di eccitazione nell’essere a tavola con un nobile mentre vengono serviti dei tagliolini al prosciutto da Sauris? La sensazione è un po’ quella che immagino possa impossessarsi di un bambino in Lapponia al cospetto di Babbo Natale. Siamo satolli e increduli mentre gustiamo un pranzo regale. Troviamo addirittura la forza di prendere bonariamente in giro la contessa con delle battute da Il Secondo Tragico Fantozzi. Ora sospendiamo tutto, guardiamo il link e immaginiamo quattro disperati senza pudore che si scambiano battute con una nobile sotto gli effetti di ottime bottiglie gentilmente offerte dalla casa.
Lasciato anche il Palazzo d’Attimis Maniago e sorpresi di nuovo dalla pioggia, andiamo al lago di Barcis.
Non so come sia con il bel tempo, ma in quell’atmosfera grigia e pungente il posto è avvolto da una foschia che lo fa apparire misterioso e affascinante, come se da un momento all’altro dovesse emergere il mostro di Loch Ness. Appurato che non ci attaccherà nessuna creatura mitologica, torniamo indietro e ci prepariamo ad assaggiare il frico con la bolla preparato dal ristorante Il Campanile.
Due cose dovete sapere: in Friuli si mangia tanto e si beve sempre. Credo ci sia la gogna per gli astemi. La seconda, il frico è un impasto di patate e Montasio a forma di frittata, un agglomerato bollente e filante di millemila calorie che vi riconcilia con il mondo. Quello con la bolla si presenta come una cupola croccante sotto cui si cela la delizia di patate e formaggio. Bisogna avere due stomaci e sette vite per sopravvivere al Friuli.

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GIORNO CINQUE – È tempo di accomiatarci da Cividale. Si torna a casa, alla routine quotidiana, a un’alimentazione che preveda anche l’introduzione di verdure. Ma prima facciamo una sosta nel regno dello street food friulano. Altra cosa fondamentale da sapere su questa regione: non è mai troppo presto per cominciare a bere. Quindi le dieci e mezza del mattino ci sembra un orario ragionevole per ordinare un calice di vino bianco, frico e salame. Il giusto sprint per affrontare un ultimo giro per la città. Su tutti va nominato il Ponte del Diavolo, così chiamato perché pare sia nato da un patto che anticamente i cittadini fecero con il diavolo per ottenere un ponte che congiungesse le due sponde del fiume Natisone.

Finisce qui la nostra avventura in questa terra fiera e orgogliosa, a tratti dura a tratti accogliente, che alla faccia di chi dice che il nord Italia è emotivamente più freddo, mi ha lasciato una traccia sul cuore che saprà sempre di famiglia.

 

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2 Comments

  • Reply
    Annalisa
    27/06/2017 at 09:16

    A Sid&Nancy ho iniziato a piangere cercando di trattenere le risate, al Secondo Tragico Fantozzi non ce l’ho fatta e ho rischiato il licenziamento!
    Come te nessuno Killa…te lo avevo già detto??!

    • Reply
      Killbilla
      10/07/2017 at 12:58

      Io mi perdo pezzi e non so come non ho perso anche te. Ti lovvo.

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