Questo, per me, è un periodo particolarmente denso e mentre lo scrivo penso che tutti i periodi mi sembrano così, ma è vero finché non ne arriva uno più potente, come l’amore o il mal di denti.
E questa per me è una delle fasi più intense che ricordi, per lo meno emotivamente. Assomiglia a tutti gli effetti a una fase di rinascita, di quelle che si propongono all’incirca alla fine di ogni anno, quando si sente il bisogno di tirare le somme anche quando si fa finta di no. Ma sto già perdendo il filo.
Il 2020 è iniziato con cari amici che hanno dato alla luce una persona nuova di zecca e altri che stanno dando alla luce una nuova versione di loro stessi dopo aver attraversato il ciclone del dolore ed esserne usciti divisi, diversi. È iniziato con serie tv da vedere, biglietti del treno fatti, alberghi prenotati e workshop strutturati così bene da essere quasi commoventi.
In tutto questo ci sono io, che alla domanda “ma tu di che cosa ti occupi?”, vorrei rispondere che mi occupo di me stessa.
Ho scoperto che occuparsi di se stessi è un lavoro che andrebbe retribuito data la complessità dei compiti da affrontare. Per esempio stamattina, prima di mettermi seduta davanti al pc, mi sono alzata, ho fatto colazione con il Dottore e molto responsabilmente mi sono ficcata nuovamente a letto. Semplicemente non avevo voglia di affrontare il mondo, avevo avuto una notte agitata per via di una serie tv (Sherlock se ve lo state chiedendo) e ho ritenuto che la vita potesse aspettare qualche ora prima di cominciare.
Sulle difficoltà di una vita da ricominciare a 39 anni, sull’orologio biologico che ticchetta nonostante l’era del digitale ne parleremo in un altro articolo, dal momento che tutta questa premessa era per introdurre l’argomento principale. In questo periodo di grandi scombussolamenti, ho trovato anche il modo di partecipare a una cosa divertente che spero farò ancora (semicit da David Foster Wallace): il BTO, il Buy Tourism Online.
Qualche tempo sono venuta a sapere tramite amici che erano aperte le selezioni per il social media team di questa manifestazione e con la grande stima di me che ho su certi aspetti, ho partecipato ma senza grande convinzione.
La conoscete la sindrome dell’impostore? Quella per cui non ci si sente mai abbastanza qualificati o legittimati in una cosa che si sta facendo, anche se si è persone di successo? Anzi soprattutto se lo si è. Molte persone che conosco, brillanti, professionalmente stimate, ne soffrono. Figuriamoci io che a 39 anni ho lasciato un lavoro a tempo indeterminato quanto mi sentissi in grado di affrontare quell’esperienza.
Solo che contemporaneamente a quella sindrome, ne soffro di un’altra che chiameremo del “pare brutto” che arriva dalla mia educazione familiare.
Lasciare qualcosa nel piatto non si fa, pare brutto.
Rifiutare un invito cortese, pare brutto.
Mandare a quel paese i vicini di casa, pare brutto.
Non partecipare alle selezioni di un evento che si preannuncia interessante, più che brutto pare da idioti.
Quindi se da una parte pensavo di dover partecipare perché tutto sembrava gridarlo, dall’altra mi dicevo che tanto sarebbe stato un buco nell’acqua. Naturalmente, più è alto il terrore che una cosa si verifichi, più è alta la probabilità che questa avvenga. E io ero abbastanza intimorita nel dovermi confrontare con un evento del genere per la prima volta.
CHE COS’È IL BTO – Facciamo un po’ di ordine. Dopo aver scritto ampiamente delle mie paure, perplessità e fisime, sarà bene chiarire meglio cosa è il BTO e cosa ho fatto io durante la manifestazione.
Come ho anticipato prima, si tratta di un evento sul turismo in cui addetti del settore e non si interrogano e discutono di innovazione e ospitalità. L’evento è alla sua dodicesima edizione e quest’anno il tema era il “manifesto onlife”, uno studio condotto da 13 esperti di discipline diverse (antropologia, neuroscienze e altro ancora). La Commissione Europea, infatti, ha stabilito alcuni obiettivi di crescita per la UE da raggiungere entro il 2020 e tra questi obiettivi c’è anche quello digitale. Cerco di riassumere in maniera anche a me comprensibile cosa c’entra tutto quello che sto dicendo con il BTO. Abbiamo quindi detto che la Commissione Europea fissa degli obiettivi che necessitano di un programma e di una serie di azioni volte a realizzarlo. Una delle macroaree è quella digitale, uno dei programmi è quello di migliorare la consapevolezza dei cittadini europei nei confronti di quest’area e una delle azioni è stata la creazione del Manifesto Onlife che vuole aiutare a cercare la risposta alla domanda “cosa vuol dire essere umani in un’era iperconnessa?” (se avete dubbi, perplessità o semplicemente non mi avete capita, opzione probabile, leggete la riflessione di Maria Cristina Tortorelli sull’argomento).
Facendo finta che fin qui sia tutto chiaro, anche il settore travel si interroga sulle possibili implicazioni di quest’era digitale e sulla necessità di nuovi modelli cognitivi che aiutino a riportare il focus sull’essere umano, che in quest’era deve viverci.
IL SOCIAL MEDIA TEAM – Un evento del genere richiama un bel po’ di gente e può essere raccontato sotto differenti punti di vista. Io sono stata scelta per farlo attraverso il canale social che più uso (Instagram) e con il mio stile narrativo. Questo è stato uno dei motivi per cui mi sono candidata come parte del progetto; più spesso di quanto vorrei, mi capita di vedere/ascoltare/leggere una comunicazione piatta, asettica o anche solamente priva di qualsiasi personalizzazione. Ed ero certa che in una manifestazione che ha al suo centro le persone, avrei avuto la possibilità di realizzare qualcosa che sentissi mio.
Quello che segue, quindi, è il racconto di come io ho vissuto questi due giorni di fiera.
GIORNO UNO – Arrivo il giorno stesso dell’evento, provata dalla sera prima in cui avevo fatto tardi per accompagnare Alessio e un nostro amico al concerto dei Dream Theater.
Neanche il tempo di lasciare la valigia in albergo, che vengo catapultata nella centrifuga del BTO. La struttura che ospita l’evento è la stazione Leopolda, la prima stazione ferroviaria di Firenze costruita nel 1848, in cui, sfruttando lo sviluppo architettonico orizzontale, sono state ricavate sei hall per la bellezza di 180 speaker.
Immaginavo che sarebbe stato faticoso seguire i vari panel, ma non avrei saputo quantificarne la dimensione. Ora lo so: tanto. Immaginate spostarsi per le diverse sale, con un intervallo di dieci minuti tra gli interventi, e seguire argomenti diversi tra loro senza buttarsi per terra a piangere finché mamma non vi prende in braccio.
Il BTO inizia con il discorso di apertura del suo direttore scientifico, Francesco Tapinassi, che introduce il leitmotiv dell’evento, la necessità di riportare al centro di ogni strategia l’elemento umano. È in un’epoca come questa, a mio avviso, che bisogna ripensare al rapporto uomo-macchina non riducendolo all’immagine straniante di HAL 9000 (sapete no, le macchine prenderanno il sopravvento e moriremo tutti dopo un periodo di tirannia sotto di esse), ma capendone le potenzialità.
Cosa che, ancora, non viene fatta nella sua totalità. Da una parte in maniera del tutto comprensibile se pensiamo a quanto tra i comuni mortali (quindi non scienziati, non professionisti, parlo proprio dei miei genitori o anche di me) non sia così chiara la velocità con cui una tecnologia arriva nel quotidiano. Per esempio, la mia famiglia ora legge le recensioni su Tripadvisor ancora prima di prenotare un ristorante; quando è successo? Soprattutto quando è diventato così automatico farlo?
Dall’altra parte, proprio per evitare quell’effetto Grande Fratello in cui dei non meglio specificati poteri forti ci vogliono solo spiare, bisogna affrontare il cambiamento in termini di educazione.
Questa è una delle cose che mi ha colpito del primo panel “Innovazione e hospitality: quali leve per la competitività del turismo in Italia”.
Mi fermo per una doverosa premessa, che ho già anticipato qualche riga sopra: questo è il mio racconto del BTO, i personaggi che mi hanno colpito, le idee che mi hanno stimolato e niente di tutto questo ha la pretesa di essere la guida ufficiale dell’evento. Solo su LinkedIn, cercando per contenuti, ho trovato tanti di quegli articoli per cui ho pensato: “mado’ ma a parte mamma chi lo legge questo post?”.
Ebbene, fosse anche solo per mamma, questo BTO mi ha insegnato che l’educazione parte dal singolo, perché siamo noi tutti che partecipiamo a questa rivoluzione e quindi bisogna essere parte attiva di questa alfabetizzazione digitale.
RIEPILOGONE PER I PIÙ PIGRI – Il BTO è una manifestazione sul turismo che ha alla base il concetto di innovazione applicato all’hospitality. Quest’anno il tema era “onlife”, come riportare al centro della rivoluzione digitale l’essere umano. Prima di tutto educandolo, rendendo le risorse accessibili e continuando a formare le risorse. La resistenza al cambiamento, se fine a se stessa, diventa solo controproducente.
Torniamo quindi al panel e ai concetti che ho sentito più vicini. Come ho detto la necessità di formare un settore (quello del turismo) che da solo copre il 13,2% del PIL ma che ancora incontra difficoltà a evolversi del tutto, da parte di chi in quel settore ci lavora.
Io che sono una grandissima fan della formazione, ancora mi sorprendo da quanto questa non venga considerata ancora una leva fondamentale. Se fossi a capo di un’azienda, obbligherei il personale a tutti i livelli a fare formazione almeno una volta l’anno. Ma ricordiamo che io non sono un’azienda, altrimenti non avrei mai accettato le dimissioni di una dipendente come me. Ma questa è un’altra storia, di cui parleremo un’altra volta.
Accanto alla leva formazione, c’è anche la leva tecnologica intesa come accesso migliorato e disponibile per tutti a un sistema di risorse. Quindi se vogliamo che le persone perfezionino le proprie competenze, dobbiamo permetterglielo.
La cosa che mi ha sorpreso, anche se ripensandoci è stata una reazione sciocca, è l’aver scoperto che ci sono personaggi, nei settori più disparati, che hanno lo stesso appeal che a 13 anni avevano su di me i gruppi grunge. Fino a un certo punto della mia vita, ho considerato come rockstar solo chi aveva una chitarra in mano, poi chi aveva una penna e poi una telecamera, una macchina fotografica, fino ad arrivare a chi scrive codice informatico. Quando ho iniziato a lavorare in una start up, ho avuto la rivelazione che anche il mondo informatico nascondeva le sue celebrità e con una mi ci sono anche fidanzata.
Io, una bionda, che ha scelto il liceo classico per limitare l’incidenza delle materie scientifiche (alle future generazioni, non è vero! Anche lì c’è matematica e fisica e chimica, quindi scegliete il classico per altri e più nobili motivi). Dicevamo, io, a un certo punto, ho scoperto che se raccontato bene, qualsiasi argomento può affascinarmi.
Ho fatto questa premessa per due motivi: intanto per ricordare al mondo l’importanza del racconto, che sia scientifico o di tutt’altro genere, ma che sia ben fatto perché solo così si superano certe barriere. Il secondo motivo è che al panel successivo incontro quelle che diventeranno tra le mie celebrità preferite di tutto il BTO. L’intervento è incentrato sull’innovazione nei processi aziendali e lo conducono Rodolfo Baggio (Professore Master in Economia del Turismo alla Bocconi), Jacopo Romei (consulente strategico) e Daniele Radici (founder di InnovationLab).
Probabilmente vent’anni fa tutte le loro parole mi avrebbero annoiata fino alla morte, oggi li seguo con devozione. Jacopo ai limiti dello stalking, ma non ci posso fare niente se tiene dei workshop bellissimi!
Qualche riga sopra ho scritto che affinché le persone aumentino le proprie competenze, deve essere accessibile la formazione, perché a volte sono proprio le risorse umane a porre un freno ai cambiamenti nei processi aziendali. Quindi torna l’argomento “persona” anche nel talk di Jacopo e Daniele, che insistono sull’elemento partecipativo di tutto il team affinché si realizzino cambiamenti che portino valore.
Proprio perché vengo da un ambiente in cui la parola “innovazione” era tra le più usate, ho sentito il loro discorso come immagino si siano sentiti i pastorelli di Fatima quando la Madonna gli ha parlato. Perché innovare senza davvero cambiare non porta a un risultato reale.
Quando dico che una cosa, se ben raccontata, incontra il mio interesse, intendo che quella stessa cosa posso applicarla in vari campi. Il mio errore più grande è stato pensare per compartimenti stagni e relegare certi argomenti a un’area più nerd, dove possono entrare solo pochi eletti. Un errore che vedo fare anche ad altri allontanando tante persone da settori di grande fascino.
Riporto la definizione di innovazione che Jacopo e Daniele hanno ripreso dall’Oxford Dictionary e che afferma più o meno come innovare significa apportare cambiamenti a qualcosa di già esistente, attraverso nuovi metodi, idee o prodotti. Bene. Diciamo che vogliamo applicare la stessa definizione in un rapporto di coppia che sta attraversando una fase di crisi. Qual è la frase più usata? Bisogna cambiare qualcosa. Quindi la coppia si impegna apportando delle novità, magari una scuola di ballo, una vacanza, lezioni di cucina. Ma perché questo generi valore e quindi la storia vada avanti, le persone devono sentirsi coinvolte, altrimenti meglio abbandonare il progetto.
Facciamo un altro esempio più calzante sul turismo (che farà in seguito un’altra rockstar come Massimo Canducci, Chief Innovation Officer presso Engineering). In particolare concentriamoci sulle prenotazioni e sul modo in cui di solito le facciamo. A seconda che si tratti di un biglietto del treno o di un aereo, abbiamo varie opzioni. Ma in questo processo, possiamo apportare un cambiamento che genera più valore, magari facendoci risparmiare tempo e situazioni spiacevoli. L’altro giorno dovevo prendere i mezzi per andare a Roma: sono uscita tutta contenta pensando di comprare i biglietti dal tabaccaio, peccato che quello più vicino fosse chiuso e il treno sarebbe passato di lì a poco. Ok, faccio i biglietti online e passo i restanti dieci minuti rivolgendomi a santità varie perché in quel punto la rete va e viene. Quanto sarebbe stato bello, veloce e meno blasfemo se avessi potuto fare tutto a casa tramite Alexa, con una connessione Wi-Fi stabile?
Ritornando e concludendo questo discorso, torna sempre la centralità dell’essere umano che può e deve introdurre dei cambiamenti, avendo la possibilità di accedere alle risorse per farlo e sentendosi coinvolto a farlo.
RIEPILOGONE PARTE SECONDA – Si pronuncia tanto la parola innovazione come se questa da sola fosse in grado di generare valore, come se lo fosse essa stessa. Ma innovare non significa aggiungere funzionalità a un processo e il gioco è fatto, perché, come ci ricordano durante il BTO, non esistono formule precotte che vanno bene per tutti e soprattutto non esiste cambiamento che non richieda il coinvolgimento di quanti a questo cambiamento devono partecipare.
To be continued (che s’è fatta una certa)…