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London calling (e io rispondo)

Antonello Venditti cantava “che certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano”, io invece per fortuna solo certi, altrimenti io e l’attuale luce dei miei occhi non staremmo insieme. Se la passione delle storie precedenti non si fosse spenta come brace quando fai il barbecue e tu volevi un’altra bruschetta, non saremmo stati le nostre rispettive fette di pane ma le briciole lasciate distrattamente sulla tavola da qualcun altro. Mi sono già persa vero? Mi ero dimenticata di quanto l’amore potesse incasinarti i pensieri ancora di più, ma torno a bomba.

Gli amori che finiscono, lasciano dietro di loro varie cose ed eventuali. A me per esempio rimasero due biglietti per i quarant’anni di carriera dei Cure, che comprai a dicembre 2017 fiduciosa che a luglio 2018 la coppia sarebbe ancora esistita. Per quei biglietti litigai anche con mia sorella, la vera fan del gruppo inglese tra le due, ma si sa che bisogna sbattere violentemente contro le cose per comprenderle appieno.

Il destino, poi, fa giri ancora più misteriosi degli amori di Venditti per riportare un certo equilibrio nella forza. Quei biglietti della discordia erano all’improvviso diventati il simbolo di una fratellanza ritrovata. Non solo, ma il concerto sarebbe stato a Londra, quindi io e mia sorella avremmo avuto la nostra “luna di miele”.

GIORNO UNO – Partiamo con il trolley più leggero mai visto in mano a due ragazze. Decidiamo di lasciare a casa shampoo e balsamo perché saremmo state ospiti di un’amica. Addirittura ci portiamo dietro un unico paio di scarpe!

Arriviamo in un’inaspettatamente caldissima e assolata Londra. Sapete quel grigio con cui tutti identificano la città? In quattro giorni io ho visto solo azzurro.

Dall’aeroporto di Stansted, prendiamo un treno che attraversa la campagna inglese prima di entrare nella metropoli ed è tutto un tripudio di casette con i mattoncini e papere negli stagni. In attesa di incontrarci con la nostra amica, facciamo un giro all’interno della stazione di Liverpool Street dove mangiamo un boccone in una delle tante catene di cibo da asporto. Dopodiché ci dirigiamo ad Hackney, una zona periferica recentemente riqualificata, dove molti artisti hanno scelto di vivere eleggendola a nuovo centro culturale. La prima cosa a cui penso camminando tra le vie è “Toh guarda, Privet Drive”, uno dei posti  citati in Harry Potter. Se siete fan della saga più famosa degli ultimi vent’anni, qui troverete pane per i vostri denti.

La seconda cosa a cui penso è quanto basti poco per sapere di essere in un’altra città ma soprattutto in un’altra cultura: guardare sistematicamente dalla parte sbagliata prima di attraversare. I cortili di fronte alle case. Le porte colorate. Le finestre a bovindo. I piccoli negozi che convivono accanto ai colossi. I profumi di terre diverse che si mischiano nell’aria. Londra mantiene il fascino multietnico che ricordavo dai miei viaggi di adolescente.

La casa in cui veniamo ospitate è così tipica che potrei rimanere a fotografare ogni angolo per una giornata intera. Ha le finestre enormi senza serrande che affacciano su una strada alberata, la moquette ovunque che ti obbliga a togliere le scarpe e il bagno senza bidet. Abbiamo però solo il tempo di lasciare le valigie e darci una rinfrescata, ché siamo di nuovo in strada, direzione Camden Town.

Camden è esattamente come la ricordavo. Ci sono ancora i negozi di cianfrusaglie, i punk, i rocker, i tossici seduti per terra, odore di cibo ovunque e tanta, tanta gente. Ci fermiamo a prendere una birra lungo il canale, al The Ice Wharf, bevendo sotto gli alberi e guardando il sole spegnersi sull’acqua. Finita la birra mangiamo del buon sushi (sebbene non troppo vario) al Sushi Salsa e finiamo la serata sul rooftop di uno spazio di coworking a ballare sulla musica anni ’80-’90.

GIORNO DUE – La data intorno alla quale ruota tutto il nostro viaggio è finalmente arrivata. Ci concediamo una colazione rinforzata al The Mokapot House che ci aiuti ad affrontare il concerto, scegliendo tra i cibi più freschi a disposizione. Uova, salsicce e fagioli. E anche se per le successive due ore ci siamo pentite amaramente, con il senno di poi si è rivelata una scelta vincente.

Il perchè è presto spiegato: la line up del festival era talmente ricca di nomi (oltre ai Cure, per citarne solo alcuni, gli Slowdive e gli Interpol), che non c’era tempo da perdere tempo in file mangerecce, quindi sante quelle salsicce che ci hanno sostenuto per otto ore di concerto.

Siete mai stati a un festival? Di queste proporzioni neanche io. Quindi ecco le cose che vanno tenute presenti quando si affronta questo tipo di esibizione a luglio.

  • Farà caldo, tanto caldo. Vi troverete a sperare che la pioggerella londinese vi venga a fare visita, ma il tempo anche ha lo humor inglese. Quindi portatevi la crema solare perché ne avrete bisogno. Bevete molto anche se è inutile aggiungere “e non uscite nelle ore più calde” perché il concerto inizia alle due e mezza del pomeriggio in un Hyde Park privo di vegetazione. Fate scorta di elastici.
  • Avete presente tutte quelle fashion blogger che hanno nel loro armadio una sezione apposita “outfit che sembrano presi ai charity shop ma valgono più di un vostro rene”? Se avete quel tipo di abbigliamento vuol dire che potete bruciarlo subito dopo e comprarne uno nuovo di zecca, altrimenti vestitevi con cose a cui non tenete particolarmente. Perché ci sarà la terra, la gente vi verserà i suoi drink addosso mentre vi passa davanti e qualcuno vomiterà durante la giornata. Lavate con acqua benedetta una volta tornati a casa.
  • Non schifatevi di niente

Detto ciò, il festival si è rivelato una delle esperienze più belle che abbia fatto in trenta…ahem anni di vita. Ineccepibile dal punto di vista organizzativo e intenso da quello emotivo. Stare lì con mia sorella, vederla cantare le canzoni con la stessa energia di quando aveva appena dieci anni, fermarci a prendere il fish’n’chips sulla via del ritorno. Ecco, tutto questo ha un prezzo, visto quanto è cara Londra, ma è un costo che sosterrei anche nelle prossime vite per vederla sorridere così. Anche se ho dovuto farmi spezzare il cuore per capirlo.

GIORNO TRE – Essere ospiti di una persona che vive nella città che stai visitando, ha i suoi risvolti positivi. Puoi fare la vita che fa lei, evitando di cadere nelle solite trappole da turisti. Perciò, dopo un lento risveglio, decidiamo di uscire per comprare l’occorrente per preparare la colazione a casa. Il problema è che a Londra anche il più piccolo degli alimentari ha cose straordinarie e mai viste, quindi finiamo per comprare più del dovuto. E a proposito di più del dovuto, pensare di venire in questa città senza acquistare nulla, è come dirsi che dopo Natale tutti a dieta. Finita la pantagruelica colazione, torniamo a Camden Town per cercare alcune cose da riportare a casa, con l’idea di proseguire non ricordo neanche dove. Epic fail.

Il mercato al coperto è così pieno di artisti e artigiani che vendono le cose più disparate da impedirci qualsiasi altra azione che non sia comprare. Al grido di “Oddio ma hai visto questo?”, passiamo quasi tutta la giornata a riempirci gli occhi e a farci svuotare il portafogli da articoli irrinunciabili. Per esempio una camicia con tanti Bart Simpson disegnati che non ho ancora idea quando né se metterò, ma che non potevo lasciare sul banco. Distrutte da quella sessione compulsiva di shopping e ancora stremate dal concerto del giorno precedente, abbandoniamo ogni velleità di visitare qualcosa e ci rifugiamo in un ristorante turco, il Tad. Nonostante l’abbondante colazione, troviamo lo spazio per ordinare l’agnello e altre specialità speziate che ci danno il colpo di grazia. Infatti torniamo a casa per un sonnellino cercando di renderci di nuovo umane. Una volta tornate presentabili, concludiamo la serata al Venerdì, un locale italiano con i tavoli fuori e un’atmosfera così piacevole da farci indugiare per un bicchiere in più di vino bianco ghiacciato.

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GIORNO QUATTRO – È il giorno della partenza. Abbiamo fatto entrare a calci i nuovi acquisti nella valigia e ci apprestiamo ad andare in aeroporto. C’è però ancora il tempo di vedere qualcosa. La prima tappa è allo Sky Garden, un giardino pensile ospitato all’ultimo piano di un grattacielo, da cui si può godere di una vista panoramica di Londra dall’alto. Il posto è suggestivo, ampie vetrate che si affacciano sulla città e all’interno una vegetazione rigogliosa che fa immediatamente Jurassic Park. L’entrata è gratuita ma la visita va prenotata online e i controlli all’ingresso sono sufficientemente severi. Una volta saliti in cima, è così tanta la bellezza che sarete ripagati di qualsiasi cosa. Subito dopo facciamo una passeggiata lungo il Tamigi fino quasi ad arrivare sotto il Tower Bridge, per poi farci tentare da Oxford Street. Premesso che a Londra spenderesti tutti i tuoi soldi solo per tutte le marche di shampoo esistenti, Oxford Street è la Mecca dello shopping. Entriamo da Primark pensando di starci al massimo mezz’ora e ne usciamo giusto in tempo per non perdere l’aereo.

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Il viaggio finisce con un trolley ai limiti della legalità, uno dei concerti più emozionanti della mia vita, una mini vacanza con la mia ritrovata sorella e un kg in più. Ho imparato che a Londra guidano come matti ma considerano le strisce pedonali sacre, che stare al piano superiore di un double-decker bus ti toglie dieci anni di vita e che puoi vestire davvero come vuoi senza essere giudicato. Mi sono ricordata di quanto è bello avere una sorella che avrei scelto anche come amica, anche quando i nostri caratteri vanno in conflitto.  Che gli amori possono finire per lasciare spazio a un sentimento più rigoglioso. Che si può pagare con la carta anche solo un caffè.

Ciao Londra, ci vediamo tra qualche stipendio.