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Marche. Un racconto di lotta


Si può partire con una premessa in un articolo sul blog? E con una domanda?

Siccome tutto mi si può dire, tranne che non sono generosa di parole, ce le ficco entrambe. La premessa è che ho il brutto vizio di interessarmi davvero a qualcosa solo se ben raccontato. Non so se dipende da una soglia dell’attenzione di un cane quando vede una pallina o da un amore viscerale per la letteratura. Fatto sta che io capisco le cose profondamente quando riescono a vestirsi da storie.

Questo ci porta dritti al punto, il mio weekend nelle Marche. Sì, ancora una volta. Speriamo non per l’ultima volta.

Io e questa regione ci siamo piaciute in fretta e come ogni passione che brucia, la prima volta che ci siamo incontrate sono rimasta letteralmente scottata. Era un luglio, credo, quando il sole imperdonabile delle due del pomeriggio mi regalava un’ustione sulle gambe. Di quel giorno mi ricordo di essere entrata in una farmacia di Ancona come una tossica senza più metadone, chiedendo al farmacista di vendermi una qualsiasi cosa. Soprattutto se finiva in -ina, morfina cocaina codeina sarebbero andate benissimo.

Ora, l’amore funziona così. Al contrario di ogni buon senso, una volta che ti scotti, devi ritornare tra le fiamme. Quindi eccomi ancora una volta a voi, o Marche, però a ottobre che non mi ci fregate più con il mare.

L’occasione è per una ottima causa, la manifestazione #ripartidaisibillini che intende riportare l’attenzione e il turismo sulle zone colpite dal sisma. E qui arriviamo a quanto accennato nella premessa: le Marche sanno raccontare. Nonostante le cicatrici che ancora si vedono nei paesi e mentre si percorre la regione, sanno raccontare. Ma ancora di più, sanno raccontare la lotta.

Troppi romanzi e film mi hanno fatto appassionare non semplicemente alle storie, ma a quelle di personaggi bizzarri, un po’ strani, che la gente definisce i matti.

Quella che vi sto per narrare è la storia di una parte del più vasto racconto di una terra che non vuole mollare e di alcuni dei suoi protagonisti.

Siamo a Sarnano, un comune della provincia di Macerata che conta poco più di tremila anime. Sarnano è uno di quei posti che quando nevica diventa un presepe, che ha il centro storico in alto e da lì domina il resto del paese, che gode della protezione scenografica dei Monti Sibillini e che sta ancora lottando per rimettere in piedi quello che ha visto crollare.

Il nostro ospite è Andrea, direttore commerciale delle Terme di San Giacomo  che ci accoglie nella struttura termale insieme a Paolo, il direttore sanitario. Scopriamo immediatamente come l’impianto originale sia andato distrutto durante il terremoto e allora cosa pensano di fare tutti loro invece di andarsene e lasciarsi alle spalle le macerie? Restano ovviamente e si sbrigano a riaprire l’attività in una struttura già esistente ma chiusa. Qui stanno rinascendo, ancora più forti, più grandi, parlando delle loro attrezzature all’avanguardia come se le conoscessero una a una (cosa probabile) e sottolineando accorati la differenza tra terme intese come il bagnetto tipo Cocoon e cure termali. Mi colpisce la loro perseveranza, io che se perde acqua dalla doccia vorrei dare fuoco a casa, e soprattutto mi colpiscono le parole di Andrea. Nel raccontarci la corsa per riaprire lo stabilimento nonostante tutto e tutti, dice: “Nella sfortuna, abbiamo avuto fortuna invece. Il posto dove siamo ora sembra quasi che stesse aspettando noi e che tutti gli eventi si siano messi in modo tale che aprissimo qui”.

Questa è la prova che il bicchiere mezzo pieno esiste. Ed è pieno di acqua sulfurea.

Dopo aver lasciato Paolo, Andrea ci porta a conoscere un altro dei protagonisti di Sarnano, Andrea anche lui, che insieme alla moglie Paola gestisce la Patata Bollente. Il piccolo locale porta il nome del film con Edwige Fenech e Renato Pozzetto, ma è anche un monito. Chi glielo fa fare a una coppia così giovane e di talento di restare qui, con questa patata bollente tra le mani? Invece eccoli qua, Andrea che va a comprare la crostata la mattina per la sua brigata e Paola che guida la sua cucina con il piglio di un generale.

Quello che hanno da dire, lo fanno soprattutto con il cibo. Piatti ben eseguiti, equilibrati, saporiti, che non ti aspetti da un ristorante messo su una curva di una strada di passaggio. Se è vero che in Italia si mangia bene un altro po’ pure a casa mia, le Marche si danno un gran da fare per primeggiare. All’antipasto di affettati e formaggi io ero già commossa e pronta a chiedere la residenza, ma quando sono arrivati i quattro primi (“così a pranzo assaggiate i primi e a cena provate i secondi”) ho pensato che il mio povero cuore non avrebbe retto. No, non per i grassi saturi sciocchini. Potrei provare a darvi un’idea di quello che abbiamo mangiato, ma voglio che ci andiate e non spoilero nulla. Dirò solo: ravioli ai pistacchi, speck e pomodorini arrostiti con ripieno di ricotta e pistacchi. E quando pensavo non potesse esserci nulla di più perfetto di quel momento, sono arrivati i dolci.  Per non parlare dei vini. Devo fare un’ammissione, io ho sempre snobbato i vini marchigiani credendo che esistesse solo il Verdicchio. Poi a Ripatransone ho scoperto la Passerina della Tenuta Cocci Grifoni. Poi a Sarnano hanno stappato delle bollicine quasi commoventi che mi hanno fatto capire che non tutti quelli che hanno bevuto solo Verdicchio sono persi.

Rimpinzati a dovere dalle sapienti mani di Paola e dignitosamente brilli, conosciamo Isabella, la nostra guida per il resto del pomeriggio. Isabella racconta la sua terra con dolcezza e mostra una pazienza di Giobbe ogni volta che le chiediamo di fermarci per una foto. E di occasioni per fermarsi nella zona dei Sibillini ce ne sono da sfidare la calma di chiunque. Visitiamo Sassotetto con la sua casetta dal tetto rosso e gli alberi colorati di autunno. Vediamo le cascatelle e i monti azzurri tanto cari a Leopardi. Giriamo per la Sarnano medioevale quasi del tutto svuotata dopo il sisma, ma bella in un modo discreto mentre le luci dei lampioni cominciano a illuminare di arancione i vicoli.

La nostra prima giornata si conclude di nuovo da Paola e Andrea per assaggiare la seconda parte del menù (i secondi, succosi, carnosi, voluttuosi secondi) accompagnata da alcuni rossi veramente notevoli.

SECONDO GIORNO – Il risveglio nel bosco (sì, il residence delle terme è circondato da conifere) è come me lo aspettavo. Silenzioso e fresco appena messo un piede fuori dalle coperte.

Prima di colazione, il nostro amore per la divulgazione scientifica ci impone di provare almeno una vasca con vari getti per l’idromassaggio, così da poterne testare la validità. Prova superata, usciamo dall’acqua rinvigoriti anche nello stomaco e andiamo a fare colazione in un piccolo bar (la Coccinella Golosa) con una produzione dolciaria di tutto rispetto. Siccome i veri eroi si riconoscono dal nemico, noi affrontiamo il nostro sovradimensionato cornetto con stoicismo. Menzione d’onore al mio goloso nerd che di fronte al dilemma se prenderlo con crema o pistacchio, li ha presi entrambi.

Abbiamo tempo per vedere di nuovo il centro di Sarnano alla luce del sole, comprare un ciauscolo che si sentiva così solo lì dietro al bancone ed è già ora di pranzo. Non so se sono io o questa regione, ma qui le ore sono scandite dai pasti. Sono le coratella in punto. Ci vediamo a ciauscolo e tre quarti. Il film comincia alle fettuccine col tartufo, tartufo e mezza.

Il pranzo viene servito in una specie di rifugio (il Chioschetto) all’ombra dei Monti Sibillini, esattamente a Madonna dell’Ambro, dove il panorama è bello a dir poco e i vari gruppi si sono ritrovati per fare bisboccia insieme.

La manifestazione #ripartidaisibillini, infatti, vede più gruppi fare percorsi diversi: chi a piedi nel bosco, chi in mountain bike. A me è toccato il percorso benessere e una quaglietta lardellata che chi se la scorda più. D’altronde c’è chi ha il fisico da trekker, chi da bagno turco.

Finiamo questa piccola avventura di fronte a teglie di fettuccine al ragù e carne alla griglia, brocche di vino che passavano di mano in mano e le risate.

È tempo di salutare di nuovo le Marche, di dire loro che torno presto, che ormai parte della mia storia è scritta anche qui. Mi porto dietro il racconto di chi poteva andarsene e invece ha preferito restare. Di chi è stato dimenticato dallo Stato ma continua a lavorare per la sua terra. Di chi crede che questo è il momento di risorgere.

Risorgete, Marche, più belle e forti di prima. Io rimango qui ad ascoltarvi.

 

 

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